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IL DEBITO ESTERO
Il vero cambiamento però, che direttamente porta alla crisi finanziaria attuale come vedremo, è l'aumento del debito estero e il passaggio rapidissimo degli Stati Uniti dal ruolo di maggior creditore mondiale a quello di maggior debitore, avvenuto attorno al 1987. I conti nazionali non erano una preoccupazione per Reagan. "Reagan ha dimostrato che i deficit non contano", è la frase famosa dell'attuale vicepresidente Dick Cheney. Lo saranno per Bush padre, che nel discorso inaugurale del gennaio 1999 dichiarò che "abbiamo più volontà che mezzi", more will than wallet. Bill Clinton, in un decennio di crescita eccezionale, risanerà il deficit, ma il debito estero continuerà a correre. E Bush figlio, sopraffatto dalla tragedia dell'11 settembre, farà correre la spesa, aggiungerà un milione ai 12 milioni di dipendenti federali, si getterà ideologicamente nelle braccia dei neocons del Project for the new american century, una tribù estinta o comunque in sabbatico, che parlava come se i mezzi per finanziare l'unilateralismo fossero quelli di una volta. Lo stesso discorso inaugurale del secondo mandato di Bush , nel gennaio 2005, riecheggiava toni del pay any price, bear any burden, meet any hardship, support any friend, oppose any foe, dell'inaugurazione di John F. Kennedy, usciti dalla penna di Ted Sorensen. Già allora l'impegno era stato superiore ai mezzi, anche finanziari. E tanto più lo sarà nel nuovo millennio.
Il crollo di Wall Street sta ai nostri giorni come la fine dei cambi fissi e un dollaro senza paracadute stava agli anni postkennediani di Nixon? Il paragone può reggere. In entrambi i casi il sistema americano ha fatto più promesse di quante potesse mantenere.
L'economia degli Stati Uniti ha avuto due buoni decenni, con alti e bassi, dagli anni 80 al 2000. Produttività e Pil sono cresciuti molto, c'è stata forte innovazione. Nel complesso, assai meglio che in Europa. Un contributo notevole l'ha dato il dollaro, distribuito a piene mani nel mondo, libero da vincoli quantitativi, in forte domanda ovunque fino a un anno fa (e anche dopo, sia pure a fasi alterne), e diventato di fatto la voce numero uno dell'export americano. La banca centrale cinese si è riempita di dollari, e ne ha circa 1500 miliardi. E da tempo gli Stati Uniti hanno bisogno di due miliardi di dollari al giorno di arrivi freschi per far girare una macchina che ormai è integrata con la ricchezza mondiale, de difetta di risparmio interno. La deregulation e il ritorno dei mercati finanziari mondiali ai livelli di integrazione mai più visti dal 1913 spiegano il fenomeno. Che è stato illustrato accademicamente, e dagli economisti delle grandi banche d'affari, con dotte disquisizioni sull'efficienza del mercato americano che remunera meglio e quindi attira capitali; sulla nascita di un sistema informale di Bretton Woods II con l'Asia e parte dei Paesi petroliferi legati al dollaro; con la teoria infine, sposata a suo tempo anche dall'attuale governatore della Fed, Ben Bernanke, del savings glut, dell'eccesso di risparmio, che si riversava necessariamente in America. Quindi, e questa è stata a lungo negli anni 2000 la linea di Alan Greenspan, stiamo tranquilli, il mondo non ci farà mai mancare i capitali, e le nostre tecniche finanziarie aprono nuovi orizzonti. Per poi ripiegare, ma ormai tardi, il 17 marzo 2008, su un più saggio rammarico per modelli operativi e teorici "troppo semplici per catturare la realtà".
ECONOMISTI, LOBBY E FINANZA
Era il riconoscimento che la finanza innovativa aveva creato, via subprime, la degenerazione di parte dell'immenso mondo dei derivati. Quel giorno stesso Edmund S. Phelps, Nobel 2006 per l'economia, scriveva un articolo (si veda Il Sole 24 Ore del 18 marzo 2008, a pagina 2) che la convinzione condivisa oggi dalla maggior parte degli economisti secondo cui l'economia è prevedibile e racchiudibile in forme matematiche capaci di eliminare il rischio prevedendo le variabili ha dato vita a "una ingegneria finanziaria e una politica monetaria in automatico che, considerando conoscenza certa quella che certa non è, ci stanno portando su una strada pericolosa".
A questo punto si può incominciare a tirare le fila, perché resta solo da spiegare come mai il mercato dei mutui a rischio è cresciuto così a dismisura, soprattutto negli Stati Uniti (anche in Gran Bretagna). Per poi, come sempre succede nelle grandi crisi, vedere che un semplice fatto di mercato, l'inversione di tendenza dei prezzi delle case, ha fatto saltare il banco.
L'insufficiente finanziameto interno della spesa aveva portato nel 71 a togliere i vincoli al dollaro, stampato quindi a piene mani, creando il mercato dell'eurodollaro, un dollaro extraterritoriale, una "terza" moneta. Nell'87 incominciava il grande indebitamento estero. L'Asia e i Paesi petroliferi avevano un appetito insaziabile di dollari, che acquistavano e davano in parte notevole a prestito. Wall Street riciclava parte notevole di questi capitali sul mercato interno. Dopo aver finanziato la bolla dot.com, ha finanziato così quella immobiliare. Un sostegno reso più semplice dall'innovazione finanziaria, dalla cartolarizzazione e dai derivati. I mutui sono stati concessi a chiunque li chiedesse perché chi li concedeva li rivendeva, e più erano a rischio più alta era la commissione.
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